“LA NUOTATRICE” FEDERICA DI STEFANO

L’artista nelle grandi tele ad olio e nei lavori a tecnica mista (grafite e e acrilico su legno) descrive la Nuotatrice che s’immerge in un silenzio magico, in sospensione, lontana dai turbamenti, dagli affanni, dai rumori dell’esistenza in una quiete cosmica, accarezzata dall’acqua che la circonda e la protegge. In un’epoca in cui l’arte è dominata dalla fotografia, da installazioni e video, fusioni ostinate di elementi figurativi disparati, Francesco Canini scopre che nulla può essere più coinvolgente per tutti e cinque i sensi e per il pensiero, niente più innovativo della pittura tradizionale. Una riscoperta del passato per traghettare il presente verso il futuro. Molteplici sono le influenze ed i modelli individuabili nella sua opera: il primo Rinascimento masaccesco, Giorgione e Tiziano, il Carlo Carrà metafisico, il Realismo Magico, la lezione delle correnti del Novecento e Valori Plastici, fino ad arrivare a Lucio Fontana ed all’illustrazione di Lorenzo Mattotti. Francesco Canini analizza, assorbe, poi cerca di accantonare, dimenticare, quindi elabora e rielabora. Riscopre il il carattere artigianale della pittura quattrocentesca, la certosina preparazione della tela, e, attraverso il contatto diretto con la materia e gli strumenti propri del pittore di bottega, egli trova l’altro del tangibile, raggiunge le vette dell’ineffabilità propria dell’arte. Prima di accingersi alla realizzazione del disegno, Canini lavora sulla tela grezza, la prepara, come nell’antica pittura con gesso e colla di coniglio, ne fa cosa sua; non si serve di tele già pronte: egli ha bisogno di entrare in contatto con il supporto grezzo, quello che poi, riempito di colori, sarà qualcos’altro: un quadro, un dipinto, un’opera d’arte. I quadri di Canini sbocciano. Egli svolge appieno il compito precipuo dell’artista: porta alla luce, rende visibile l’invisibile che si annida e si nasconde nelle pieghe di ciò che sta sotto i nostri occhi. I suoi quadri tornano ad essere universi in sé conchiusi, rarefatti eppure densi, che proprio grazie al loro isolamento riescono a comunicare con la realtà; una realtà trasfigurata, scissa dal mondo e dal tempo: la NUOTATRICE infatti ci parla della Storia e della Natura.

Federica Di Stefano, luglio 2009

“LE NUOTATRICI” DILETTA CHERRA

Alle sirene giungerai da prima, che affascinan chiunque i lidi loro Con la sua prora veleggiando tocca. Odissea di Omero, Canto XII. Da Ippolito Pindemonte Silenziosi e lievi, armoniose e magnetiche come sirene di un tempo oltre il tempo, le ‘’Nuotarici’’ di Francesco Canini tornano, con i loro corpi diafani, costruiti di ombra e luce, alla candida magia di Sperlonga. Dopo il successo dello scorso anno, queste affascinanti creature pittoriche consustanziali agli infiniti e azzurri fondali marini che abitano, saranno ancora protagoniste di una nuova mostra personale dell’artista che si inaugurerà venerdì 8 agosto nello spazio espositivo del Beat_Apericlub, nel cuore del borgo medievale di Sperlonga (Via Fulco Tosti, 16, ore 21.00 – 3.30), e proseguira’ fino al 14 settembre. L’esposizione, che segue la personale di Canini da poco conclusa al Museo E. Greco di Sabaudia e l’apertura della collettiva “L’Arte nel Territorio” alla Pinacoteca Comunale d’Arte Contemporanea di Gaeta (Palazzo San Giacomo, Via De Lieto 2, fino al 7 settembre), ripercorrerà i passi compiuti dall’artista nel suo ricercare e vivere pittoricamente l’amore, quasi esclusivo, per il tema della ‘’Nuotatrice’’. Una fascinazione che Canini insegue e scopre da anni tra le velature di una sensibilissima pittura ad olio e tra le ombre di seducenti disegni, realizzati con una tecnica mista di grafite e acrilico, che segnano un nuovo percorso artistico in questa ricerca. E il risultato, come sempre, é una vibrante figurazione contemporanea dialogante con la tradizione pittorica del primo Novecento, dal Realismo Magico alle lezione metafisica, una figurazione che raggiunge il tatto, suggerisce suoni, sapori, profumi e ammalia chiunque la contempli proprio come una dolcissima sirena.

Diletta Cherra, agosto 2008

“LA NUOTATRICE” CLAUDIO GIANVINCENZI

LA NUOTATRICE C’è qualcosa che sembra valicare i confini segnati dagli occhi, nelle tele di Francesco Canini. Qualcosa che oltrepassa lo sguardo, che esonda dal campo visivo e sembra sfiorare la pelle, cingere, accarezzare, avvolgere. Qualcosa che irretisce il corpo, che lo risucchia delicatamente. Qualcosa che pare pervadere la carne, invaderla dolcemente. Sembra che per percepire e recepire le opere di Francesco Canini non sia più sufficiente e non venga più coinvolta soltanto la vista, senso prediletto della pittura. Già, la pittura. In un’epoca in cui l’arte è dominata da installazioni e video, fusioni ostinate di elementi figurativi disparati, scimmiottamenti del genio Duchamp, spasmodiche ricerche di interattività che sempre più si avvicinano al campo dell’ingegneria contaminando e snaturando il terreno proprio dell’arte, Francesco Canini scopre che nulla può essere più coinvolgente per tutti e cinque i sensi e per il pensiero, niente più innovativo della pittura tradizionale. Una riscoperta del passato per traghettare il presente verso il futuro, dunque. Giacché il presente ed il futuro si costruiscono sulla consapevolezza del passato. Tant’è che l’effetto conclusivo risulta quantomai moderno; senz’altro più moderno dei più moderni tra chi vuole a tutti i costi essere moderno. Molteplici sono le influenze ed i modelli individuabili nella sua opera: il primo Rinascimento masaccesco, Giorgione e Tiziano, il Carlo Carrà metafisico, il Realismo Magico, la lezione delle correnti Novecento e Valori Plastici, fino ad arrivare a Lucio Fontana ed all’illustrazione di Lorenzo Mattotti. Francesco Canini analizza, assorbe, poi cerca di accantonare, dimenticare, quindi elabora e rielabora. Con un ritorno agli strumenti più semplici e gloriosi della pittura, Francesco Canini innova rinnovando: la sua è una pittura aptica, che attraverso gli occhi raggiunge il tatto e suggerisce alla mente suoni, sapori, profumi. Nell’elementare bidimensionalità della tela, egli forgia ambienti spaziali dipingendone l’atmosfera. Una vera magia, per dei quadri tradizionali. Canini opera una revisione delle metafore e dei θόποι tradizionali, pur restando in costante dialogo con la tradizione. All’astrazione egli preferisce la rarefazione di una pittura figurativa forte di un rigoroso studio del nudo, di un accurato lavoro sul disegno e sul colore, di una preparazione della tela tramite strati di velature ottocentesche. Importantissimo è proprio il lavoro che egli compie sulla tela e con la tela. Complici i suoi trascorsi di giovane raffinato corniciaio, Francesco Canini riscopre il carattere artigianale della pittura quattrocentesca, la certosina preparazione della tela, e, attraverso il contatto diretto con la materia e gli strumenti propri del pittore di bottega, egli trova l’altro del tangibile, raggiunge le vette dell’ineffabilità propria dell’arte. Il suo gesto manuale pittorico diventa speculazione filosofico-visiva. Ad un tempo antico e moderno, Francesco Canini è artista squisitamente contemporaneo. Prima di accingersi alla realizzazione del disegno, Canini lavora sulla tela grezza, la prepara, come nell’antica pittura con gesso e colla di coniglio, ne fa cosa sua; non si serve di tele già pronte: egli ha bisogno di entrare in contatto con il supporto grezzo, quello che poi, riempito di colori, sarà qualcos’altro: sarà un quadro, un dipinto, un’opera d’arte. Francesco Canini sa bene che nulla è più nobile di quella materia povera che non aspetta altro di veder nascere dal tessuto grezzo le sfavillanti mirabilie patrizie di ciò che è arte. Ciò che svetta alto nel cielo ha le radici piantate nella terra. Canini osserva come le più alte opere del genio umano siano il prodotto d’un insieme di elementi bassi: le imponenti statue sono il frutto della fatica e del sudore speso sul marmo delle cave ferito con il ferro; le cattedrali sono fatte di mattoni; gli affreschi pitturati con impasti di succhi ed essenze distesi con pennelli di setole. E’ questa consapevolezza – il massimo della coscienza a cui un artista può arrivare, ovvero la coscienza dei suoi mezzi – che permette a Francesco Canini di conciliare nel suo fare artistico i sempiterni nemici del porre e del levare: è come se infatti la tela vissuta e sentita suggerisse alla mano le linee da seguire; è come se nel tessuto fossero già contenuti i germi dei colori che li andranno a far fiorire di Bellezza. I quadri di Francesco Canini sbocciano. Egli svolge appieno quello che secondo Paul Klee è il compito precipuo dell’artista: porta alla luce, rende visibile l’invisibile che si annida e s’asconde nelle pieghe di ciò che sta sotto ai nostri occhi. Il pittore ci insegna a guardare le cose scovandone il di più, ciò che eccede la vista, l’altro del – e non dal – sensibile. I suoi quadri tornano ad essere universi in sé conchiusi, rarefatti eppure densi, che proprio grazie al loro isolamento riescono a comunicare con la realtà; una realtà non più imitata, quella che Francesco Canini dipinge nelle sue opere, bensì trasfigurata: scissa dal mondo e dal tempo, la Nuotatrice ci parla della Storia e della Natura. Oltre la μίμησις, l’atto supremo di plasmare una nuova realtà che con la realtà comunichi, alla realtà si ispiri e che questa realtà insegni ad investigare con animo fresco e ricco d’una nuova giovinezza. La Nuotatrice è il tema prediletto, il soggetto caratteristico dell’autore, vera e propria ossessione necessaria, da alcuni anni vocazione pressoché esclusiva della sua pittura. Nelle grandi tele azzurre e calde della Nuotatrice, dolcemente ossimoriche nella loro avvolgente freddezza che assorbe con tepore, è racchiusa tutta la poetica di Francesco Canini. Per questo egli afferma che la Nuotatrice lo accompagnerà per tutta la vita. La sensazione di un tuffo in un’altra dimensione aleggia sia all’esterno che all’interno della superficie pittorica, dove una giovane donna, una fanciulla senza età, nuota immersa nella propria solitudine, laddove tale condizione perde qualsiasi connotato di negatività e non somiglia più ad un oscuro abisso, bensì ad un sereno riparo luminoso. L’autore ritaglia uno spazio protetto di quiete nel frastuono dell’esistenza: egli dipinge un corpo al di fuori della Storia pur all’interno della Storia stessa (il costume della nuotatrice è elemento temporalmente caratterizzante), al sicuro dalle turbolenze del Tempo inteso sia in senso storico-politico (gli accadimenti sociali) sia metafisico (il suo scorrere che tutto divora e distrugge). In un tempo ed in uno spazio determinati il pittore scava un luogo ed un momento al di fuori del tempo e dello spazio. Come in “Ode on a Grecian Urn” di John Keats, l’arte torna ad assumere una valenza eternatrice e pacificatrice: la nuotatrice avrà il privilegio di non uscire più da quel tenero limbo in cui ogni affanno è sospeso. L’incarnato della ragazza è levigato, quasi etereo, lievemente caldo eppure raggelato da una luce propria che si mescola a quella che si propaga soffusa nelle opere; si tratta di riflessi di luce resi con pennellate leggere che ricordano l’acquerello, a rendere palpabile non tanto l’acqua, bensì il senso dell’acqua, la suggestione emozionale del colore omogeneo sfumato di celeste e bianco. E’ proprio la ricerca sui toni la chiave del lavoro di Francesco Canini, il suo tratto peculiare e fondamentale. Molto più veneziano che toscano in questo, Canini attua e suggerisce un approccio diretto ed emozionale con il reale, il più immediato possibile (nell’accezione primaria di in-mediato, non mediato), al fine di trovare una sorta di assoluto pittorico: la pelle della nuotatrice, accarezzata dall’acqua, compenetrata dal mare e sovente fusa con esso, si fa anima incarnata, ma d’una sovrannaturalità che appartiene tutta alla sfera artistica. Francesco Canini indaga sull’enigma dell’azzurro, il più ambiguo ed ammaliante tra i colori. Tecnicamente, l’azzurro è un colore freddo. Eppure, in esso c’è un calore inusitato, che attira e sa di distanza, che seduce e respinge. Dolce e ieratico insieme, l’azzurro è un mistero che sbalordisce ed inquieta, che rapisce ed allontana. E’ Francesco Canini stesso a dichiarare il proprio stupore allorché si trova ad impastare l’azzurro: basta un po’ di bianco o di verde in più, oppure una goccia in meno, e quest’azzurro muta ogni volta; e con il suo mutare, trascina con sé sensazioni sempre nuove e diverse, pizzica corde dello spirito mai suonate e libera nuove voci, rammentandoci che spesso un silenzio corrisponde ad un tacere e non ad un’inesistenza. Francesco Canini conduce una vita quasi monastica, dai ritmi rigorosi, tutto dedito alla sua arte. Vive in campagna, vicino al mare, immerso in quel silenzio ed in quella solitudine che intende consegnare alle sue opere, come se volesse donare alle tele una parte della propria vita, quasi a soffiare nel tessuto un alito vitale che animi le immagini. Nei dipinti Canini restituisce le impressioni che egli attinge da ciò che lo circonda e l’ambiente diviene differente da se stesso: diviene creazione, diviene artificio, diviene arte. Cambia volto, scompare dissolvendosi nel quadro per riaffiorare sotto mentite sincere spoglie. Francesco Canini si sveglia ogni mattina prima dell’alba e comincia a lavorare ai dipinti, proseguendo ininterrottamente fino al pomeriggio, momento in cui “rimette in discussione” – come suole dire lui stesso – tutto il lavoro svolto sino a quell’ora. Ritorna quindi sui propri passi, prende nuove decisione, cambia idea, impregnandosi delle suggestioni di quanto da lui stesso precedentemente realizzato affinché lo conducano per nuove vie inaspettate. La sua è una paziente attesa dell’inatteso. E’ quanto mai interessante sapere cosa l’artista stesso ha da dire a proposito del proprio metodo: egli confessa la meraviglia che lo invade nell’osservare l’azzurro che si trasforma ad ogni nuova pennellata. Francesco Canini in primis si sorprende ogni volta per l’inafferrabilità dell’azzurro. Colore imperscrutabile per eccellenza, l’azzurro è la tinta dell’ossimoro. Nell’azzurro le opposizioni si amalgamano e generano quell’aura d’insolita insondabilità che conquista e fa vacillare. L’azzurro è l’ossimoro che produce ossimori. L’azzurro è l’incarnazione tonale del Mistero: il mistero del cosmo, il mistero della vita e della morte, il mistero del divino, il mistero del senso e del significato dell’esistenza. L’azzurro esprime l’assoluto, l’eterno e l’infinito; ne simboleggia la faccia mutevole. Azzurro come essenza visibile e cangiante dell’Immutabile. La Nuotatrice scivola languida nell’azzurro. Vi è immersa, ne è intrisa. La Nuotatrice esplora l’azzurro. Ella è dunque l’artista stesso, ogni artista e di riflesso l’uomo in generale e la sua volontà conoscitiva mista alla brama di annullarsi nel brahman. La Nuotatrice è l’allegoria dell’umano anelito verso il paradiso ed al contempo del raggiungimento del paradiso, finalmente ottenuto. La sfera artistica è l’unico vero Eden, l’unico vero Empireo, l’unica vera Rosa dei Beati. La Nuotatrice e l’azzurro: due simboli, due metafore, due allegorie, così semplici eppure così sterminati. Immersa in un silenzio magico ed in una solitudine arcana, misteriosa, la Nuotatrice è sospesa in un vuoto che incanta e meraviglia. Al riparo dai turbamenti, dagli affanni, dai rumori dell’esistenza, questa sirena senza età fluttua in una quiete cosmica che avviluppa in un abbraccio morbido, eterno ed eternatore. La nuotatrice è salva dalla vecchiaia, libera da ogni sforzo e tensione (come rivelano i capelli e le mani). Ha gli occhi chiusi, assorta nella propria distanza dal mondo, che pure sembra ad un passo, ma lontano ormai più dalla sua mente che dal suo corpo. La pace, con il caos tutto intorno alla cornice, fuori, via. Ella è in pace. Il tutto sembrerebbe denotare una volontà impolitica, che però dimostra una salda consapevolezza critica: questa creazione di un non-luogo di tregua cosmica lascia supporre un profondo senso di pessimistica stanchezza verso una realtà inclemente e frenetica che intrappola l’Io nella gabbia degli schemi della quotidianità. La pittura di Francesco Canini si configura dunque anche come politica, nel significato più elevato inteso da Theodor Adorno: l’opera d’arte, dicendo – wittgensteinianamente – se stessa e confessandosi come altro dal e del reale, denuncia dal proprio interno le storture del vigente. Così, se l’uomo della modernità è smarrito nel marasma, la donna di Canini si perde nella pace. A volte ci mostra il volto, un viso dai tratti vaghi, giacché l’arte deve essere universale. Si lascia accarezzare dall’acqua, dalla propria vuotezza positiva: un vuoto d’accidenti riempito d’assoluto. Il pittore esclude qualunque tipo di turbamento: la nuotatrice è pudica nella propria libertà, trasuda libertà nella totale assenza di pulsione erotica. Si tratta di esperienze sensoriali da captare puramente col pensiero sgombro. Lo sguardo dell’osservatore scivola sulla tela ed addosso alla nuotatrice, che non vi bada. Ispira silenzio, assorbimento. La nuotatrice di Canini è una divinità insieme degli abissi e delle altezze, delle profondità marine e dei picchi celesti del pensiero; una dea acquatica desacralizzata, terrigena e terrena, ma improfanabile nella sua impenetrabile placidità che sa d’ignoto, d’infinito e imperituro. La grandezza di Francesco Canini risiede nella rara capacità di dipingere l’assenza. Dare forma al silenzio ed al vuoto è il più arduo dei cimenti per l’artista. In fondo, è la meta a cui tende ogni artista: esprimere l’infinito nulla di Dio. Quella di Francesco Canini è una pittura religiosa che santifica la religione della pittura. La sua è una visione sacra, la sua pittura è sacrale; uno sguardo sacrale per un’arte sacra, ma d’una liturgia puramente artistica. Francesco Canini celebra il miracolo dell’arte. E’ l’immensità dell’arte medesima che egli magnifica ed a cui tributa gli onori della creazione. Di qui la sua tensione verso un misticismo artistico: è uno stato di ipnotico torpore vigile che egli vuole suscitare nell’osservatore; l’enorme vantaggio di questa sublime tipologia di culto risiede nel fatto che non c’è bisogno di attendere alcuna allucinazione: la visione trascendente è già tutta spalancata davanti al fruitore, al quale non resta che lasciarsi andare all’estasi e nell’estasi, smarrirsi in quell’“eterno femminino” che “trae al superno” rappresentato dalla Nuotratrice. Solo perdendoci ci è dato ritrovarci, ritrovare il nostro essere nella sua purezza primigenia. E solo perdendoci lucidamente nei meandri dell’arte. Questa è la lezione che Francesco Canini desidera darci. La nuotatrice diviene dunque allegoria dell’arte stessa. La Nuotatrice è la Pittura, è la Poesia, è la ποίεσις. Ella sopravvive al di sopra, al di sotto, al di là del perituro. Nell’al di qua ci siamo noi e le nostre miserie umane. E non possiamo avvicinarci alla Nuotatrice: se allunghiamo le dita nel tentativo di toccarla, di rubare la sua linfa d’ambrosia, di lasciarsi contagiare dalla sua vittoria sul finito, la parete della tela ci respinge. La Nuotatrice vive solo nell’Immagine e solo l’Immagine è la Verità. Francesco Canini ci svela il segreto più grande: l’arte è il luogo eletto dell’immortalità. L’unico. E viceversa. Claudio Gianvincenzi Sabaudia, giugno 2008

“LA NUOTATRICE DI FRANCESCO CANINI” GIORGIA CALO’

LA NUOTATRICE DI FRANCESCO CANINI Il titolo dei suoi lavori potrebbe rimandare la memoria alle famose Nuotatrici di Carlo Carrà, un’opera realizzata dal celebre artista nel 1910. In realtà, benché il soggetto accomuni i due lavori, le nuotatrici di Canini appaiono ben diverse da quelle del pittore futurista. Anzitutto perché, a differenza di quest’ultimo che ritrae un gruppo di bagnanti, la Nuotatrice di Canini è sola, immersa nell’acqua; in secondo luogo, per la cromia e le stesure dalle quali prendono forma i corpi femminili dell’artista romano. Francesco Canini, del resto, non è affatto interessato a descrivere l’azione, bensì si concentra sullo stato d’animo che il gesto stesso dell’immersione provoca. La nuotatrice, in una dimensione di totale isolamento, potrebbe far ricordare una condizione prenatale: l’acqua del mare intesa come liquido amniotico. In un lavoro l’artista rappresenta una nuotatrice con le braccia piegate, parallele, e i pugni chiusi: tutto lascia pensare ad una posizione “fetale”. Del resto, e non è un caso, la prima esperienza di solitudine dell’essere umano si ha proprio nel grembo materno. L’intero universo delineato dall’artista è quindi declinato al femminile. La Nuotatrice è da alcuni anni la vocazione esclusiva della pittura di Francesco Canini che mette in primo piano il corpo a scapito del volto, quasi sempre celato, messo di profilo o addirittura di tre quarti, in modo da non apparire in maniera esplicita. Un volto “negato”, spesso coperto dalle molteplici velature che caratterizzano le sue opere. Altre volte, invece, la nuotatrice di Canini si concede allo sguardo del pubblico, mostrando il suo volto e svelando la sua nudità. In entrambi i casi l’artista cerca di conferire una maggiore enfasi allo stato di solitudine della donna raffigurata. Le ultime nuotatrici realizzate da Canini (la prima risale al 2003) presentate in occasione di questa mostra, pur continuando ad avere la peculiarità di essere evanescenti, vengono ora rappresentate con un incarnato vero e proprio, sebbene alcune delle opere in mostra mantengano una monocromia tipica delle prime esperienze di Francesco Canini. La donna e il mare sembrano essere impastati nella stessa materia, così che troveremo nell’incarnato della nuotatrice un po’ del liquido turchese: una fusione, quindi, tra corpo e ambiente. Le donne di Canini dalle lunghe chiome, nuotano voluttuosamente nell’acqua di un azzurro intenso, che si appropria dei loro corpi divenendo con esse un tutt’uno, imprescindibili le une dall’altra. Il mare, apparentemente calmo, è uno spazio che tende ad affermare la propria corporeità attraverso le nuotatrici che lo “abitano”. Le luci, ma soprattutto le ombre dei corpi che vanno a stagliarsi sui fondali marini, alludono ad una fisicità aggettante. Viene così tradotta sulla tela una particolare vibrazione cromatica che rimanda inevitabilmente alle esperienze artistiche del primo Novecento italiano. “Il pittore ha confidenze con le ombre – ci spiega Ruggero Savinio – con l’ombra che i corpi proiettano […] Il pittore si cala nell’ombra per trovare la luce”. Come la figura che emerge dall’ombra la nuotatrice di Canini, stesura dopo stesura, si materializza nel fondo marino. Lo spazio sospeso che l’artista rappresenta, lo “spazio aperto dell’anima” restituisce ad un onirismo surrealista, ad un’arte metafisica, ad un realismo magico che fa pensare alle opere di Felice Casorati, Carlo Carrà, Giorgio De Chirico, Mario Sironi. La sigla fortemente allusiva che viene a crearsi evoca il legame di marcata fisicità che relaziona l’artista alle sue opere. Non a caso le prime nuotatrici realizzate sono state portate avanti da Canini per ben due anni in una sorta di work in progress. Ogni giorno, per ventiquattro mesi, l’artista ha apportato alle tele continue modifiche, nuove stesure, fino a che ogni sua opera non ha finalmente raccontato la solitudine e il silenzio. Le opere di Canini esprimono infinite dimensioni, luoghi apparentemente riconducibili ad un’area geografica, ad un mare reale, magari quello del Litorale Pontino, dove l’artista vive e lavora da alcuni anni. Le sfumature del blu, i turchesi, gli azzurri intensi, sono cromie legate a tutte le nostalgie dell’infinito, a partire da elementi naturali quali il cielo e il mare. Questi sono i colori fondamentali nell’opera dell’artista. L’acqua marina che fa da scenario agli splendidi corpi femminili, non è altro che uno spazio aperto “riempito” da silenzi indecifrabili che rinviano all’immaginario linguistico dell’inconscio. L’artista realizza, quindi, un viaggio introspettivo dove il pubblico è invitato a seguire un percorso, oserei dire bergsoniano, rivolto a spiegare i processi della vita interiore e in cui il senso profondo del tempo, della memoria e della materia si fanno concreti. Giorgia Calò Roma, agosto 2006

“FRANCESCO CANINI” CLAUDIO GIANVINCENZI

FRANCESCO CANINI
Entrando nel sobrio spazio dalle linee moderne della bella galleria Horti Lamiani Wine Art si è subito irretiti, dolcemente risucchiati, dai morbidi colori delle tele di Francesco Canini. L’azzurro tenue dei dipinti sembra ricreare l’effetto di un’installazione, l’atmosfera di un “ambiente spaziale” fontaniano: una vera magia per dei quadri tradizionali, complice anche l’impeccabile disposizione nell’armoniosa nuova sala espositiva inaugurata il 20 settembre proprio con la mostra di Canini. La sensazione di un tuffo in un’altra dimensione in cui corpo ed atmosfera si fondono aleggia sia all’esterno che all’interno della superficie pittorica, dove una giovane donna, anzi una fanciulla senza età, nuota immersa nella propria solitudine, laddove tale condizione perde qualsiasi connotato di negatività e non somiglia più ad un oscuro abisso, bensì ad un sereno riparo luminoso. Canini opera quindi una revisione delle metafore, dei topoi tradizionali, pur restando in costante dialogo con la tradizione. All’astrazione egli preferisce la rarefazione di una pittura figurativa forte di un rigoroso studio del nudo, di un accurato lavoro sul disegno e sul colore, di una preparazione della tela tramite strati di velature ottocentesche; molteplici le influenze ed i modelli individuabili: il Carlo Carrà metafisico, il Realismo Magico, la lezione delle correnti Novecento e Valori Plastici, fino ad arrivare all’illustrazione di Lorenzo Mattotti. Il ritorno alla classicità tuttavia si connota come uno sguardo verso la stessa allo scopo di ottenere una figurazione squisitamente contemporanea come risultato finale di un lungo lavoro di ricerca. Il presente ed il futuro si costruiscono sulla consapevolezza del passato. L’effetto conclusivo è infatti quantomai moderno. Ma è proprio dal frastuono della modernità che l’autore ritaglia uno spazio protetto di quiete: egli dipinge un corpo al di fuori della Storia pur all’interno della Storia stessa (il costume della nuotatrice è elemento temporalmente caratterizzante), al sicuro dalle turbolenze del Tempo inteso sia in senso storico-politico (gli accadimenti sociali) sia metafisico (il suo scorrere che tutto divora e distrugge). In un tempo ed in uno spazio determinati il pittore scava un luogo ed un momento al di fuori del tempo e dello spazio. Come in “Ode on a Grecian Urn” di John Keats, l’arte torna ad assumere una valenza eternatrice e pacificatrice: la nuotatrice avrà il privilegio di non uscire più da quel tenero limbo in cui ogni affanno è sospeso. L’incarnato della ragazza è levigato, quasi etereo, lievemente caldo eppure raggelato da una luce propria che si mescola a quella che si propaga soffusa nelle opere; si tratta di riflessi di luce resi con pennellate leggere che ricordano l’acquerello, a rendere palpabile non tanto l’acqua, bensì il senso dell’acqua, la suggestione emozionale del colore omogeneo sfumato di celeste e bianco. La nuotatrice è salva dalla vecchiaia, libera da ogni sforzo e tensione (come rivelano i capelli e le mani). Ha gli occhi chiusi, assorta nella propria distanza dal mondo, che pure sembra ad un passo, ma lontano ormai più dalla sua mente che dal suo corpo. La pace, con il caos tutto intorno alla cornice, fuori, via. Il tutto sembrerebbe denotare una volontà impolitica, che però dimostra una salda consapevolezza critica: questa creazione di un non-luogo di tregua cosmica lascia supporre un profondo senso di pessimistica stanchezza verso una realtà inclemente e frenetica che intrappola l’Io nella gabbia degli schemi della quotidianità. Mentre la donna nuota libera, esplora con armonica casualità la profondità dell’acqua, metafora dell’Io, o del grande Altro, magari solo per un attimo, ma almeno uno scampolo di eternità. Se l’uomo della modernità è smarrito nel marasma, la donna di Canini si perde nella pace. A volte ci mostra il volto, un viso dai tratti vaghi, giacché l’arte deve essere universale. Si lascia accarezzare dall’acqua, dalla propria vuotezza positiva: un vuoto d’accidenti riempito d’assoluto. Il pittore esclude qualunque tipo di turbamento: la nuotatrice è pudica nella propria libertà, trasuda libertà nella totale assenza di pulsione erotica. Si tratta di esperienze sensoriali da captare puramente col pensiero sgombro. Lo sguardo dell’osservatore scivola sulla tela ed addosso alla nuotatrice, che non vi bada. Ispira silenzio, assorbimento. La nuotatrice di Canini è una divinità acquatica desacralizzata, terrena, ma improfanabile nella sua placida, superiore, infinità.   Claudio Gianvincenzi per Tribe Art  (25 settembre 2006)

“LE SIRENE DI CANINI” FABIANA MENDIA

LE SIRENE DI CANINI
Le “Nuotatrici” di Francesco Canini sono da anni le sue muse. Riprese in apnea attraverso fondali e vanno verso infiniti mari. Magica, sospesa è l’atmosfera delle tele: le sue sirene sfuggono nel silenzio colorato di azzurro. Fabiana Mendia per Il Messaggero, (21 Settembre 2006)

“L’OMBRA, L’AMORE” RUGGERO SAVINIO

L’OMBRA, L’AMORE
Tre volte allora tentai di stringerle al collo le braccia, tre volte, invano afferrata, fuggì dalle mani l’immagine, pari a soffio di vento, simile a sogno alato. Virgilio, Eneide, II 793 sg.

Che cosa stringe Enea nelle sue braccia, fra il fuoco degli incendi? Stringe un’ ombra. Non lo potrà seguire Creusa dove lo destinano i Fati, in questo nostro Occidente, la sua dimora è là , fra le ombre. Degli elementi che compongono l’uomo, soma, eidolon, psiche: corpo – immagine, idolo, ombra – e anima, l’ombra era il più individuale, il più proprio. L’ombra che l’anima proiettava sul corpo in cui entrava, e cheanimava. Il pittore ha confidenza con le ombre, con l’ombra che i corpi proiettano l’uno sull’altro e con la grande ombra avvolgente, grembo originario e ricettacolo di tutte le immagini. La pittura nasce dall’ombra che l’amato proietta sul muro e che l’amata scontorna col gesso. Fin dalla sua origine mitica ombra immagine e amore sono annodati nella pittura. Il pittore si cala nell’ombra per trovare la luce. La luce della pittura è una luce emanata dall’ombra, un chiarore. Una luce che non impone chiarezza alle immagini, una luce vivente. La luce che trema come una fiamma scompiglia le immagini, le disfa, le consegna all’ombra. Il combattimento del pittore con le immagini è la lotta per generare nell’immagine la fiamma della vita, il chiarore che non scaccia le ombre, non le sopraffà e non impone il dominio della sua legislazione. L’immagine vivente, quella in cui i contrari convivono – luce e ombra, vita e morte, pieno e vuoto – che l’ombra custodisce nel suo grembo, è opera dell’amore. L’amore, infatti, trascende ogni oggetto e ogni immagine. Così il pittore, guidato dall’amore, s’inoltra nel regno dell’ombra per trovare un’immagine in cui la vita si raccoglie trema e risplende come una fiamma. Nel suo cammino amoroso Francesco segue l’invito dell’ombra. Abbandona la figura nuda distesa del quadro che apre la serie dei suoi dipinti recenti per seguire la strada dell’ombra. L’ombra che si proietta sul muro come l’inquietante nero doppio della giovinetta nel quadro di Munch Pubertà. Adesso la figura nuda diventa spoglia chiusa nella sua fissità referenziale, mentre l’ombra apre lo spazio contraddittorio e fertile che é quello della pittura, lo spazio in cui gli amanti si trovano, si donano il cuore, si dicono addio.   Ruggero Savinio Roma, marzo 2003

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